Ghost of a Tale – Un topo contro il mondo

C’è stato un momento in cui giocando a Ghost of a Tale ho pensato che la mente dietro alle avventure del piccolo e adorabile Tilo fosse geniale. Ho davvero creduto che il gioco non avesse dei limiti chiari, ho sognato di poter viaggiare per il mondo e le città descritti nei documenti e di cui si parlava con i personaggi, ho sperato che il gioco potesse continuare a stupirmi ancora e ancora, come aveva fatto nelle prime ore… ma purtroppo non è stato così. Questa è la storia di una delusione.

20180527144327_1.jpg

All’inizio non ci si crede, però è vero, questo è un gioco di ruolo, che tiene conto della storia del genere e allo stesso tempo delle sue più recenti evoluzioni. Non solo, c’è anche spazio per qualche piccola novità, che contribuisce soprattutto all’inizio a far spalancare gli occhi e a stimolare aspettative esagerate. Tilo è un topolino, un menestrello, che si risveglia in prigione in una roccaforte di ratti. La preoccupazione centrale è ritrovare sua moglie, ma come sempre accade tutto questo è solo l’inizio di una serie di avventure che lo porteranno a conoscere tanti personaggi di un mondo popolato da animali un po’ antropomorfi e molto ben caratterizzati. I topi non sono il simbolo della forza e nonostante l’inventario di Tilo sia capientissimo, non ci sarà spazio per spade e mazzafrusti. Con un topo come protagonista non potrà che esserci un’enorme componente stealth, che soprattutto nelle prime ore di gioco caratterizza marcatamente il gameplay. Poi ci sarà spazio per altre e diverse soluzioni agli ostacoli che rendono la strada di questo adorabile, piccolo eroe sempre impervia.

20180603195246_1.jpg

Ho anticipato fin da subito che il giudizio non può essere pienamente positivo, ma ci sono cose che Ghost of a Tale fa davvero bene e la prima è certamente la grafica. Non è un caso che a realizzare il gioco sia un ex animatore della Dreamworks, che sa evidentemente il fatto suo. Il mondo è bellissimo, incantevole. La prima volta che si esce dalla prigione la luce è abbagliante e liberatoria. I colori che cambiano durante la giornata, la finezza della modellazione degli oggetti, delle pareti, dei funghi aggrappati alla corteccia di alberi altissimi, i rampicanti sulle rovine, le ombre che il fuoco traccia negli ambienti chiusi. Potrei proseguire, ma credo di aver reso l’idea. Giocare a Ghost of a Tale vuol dire principalmente guardarsi attorno affascinati. Anche solo vivere un po’ questo mondo vale la pena di fare un giro, questo lo devo dire.

20180529002705_1.jpg

Purtroppo però non sempre l’operazione risulta facile. Il gioco è pensato più per il gamepad che per mouse e tastiera. Peccato che questi ultimi siano senza dubbio le periferiche di controllo che meglio si prestano al genere di gameplay. Questo crea inevitabilmente delle frizioni. Il mouse tende a “sbarellare” soprattutto nei momenti più concitati, come se accelerasse quando si ruota la visuale attorno all’avatar. Farsi catturare da un nemico per questo motivo alla prima volta lo si perdona, alla quarta fa girare i gioielli. Inoltre anche il meccanismo di mira non è dei più precisi e certe volte si rischia di sprecare oggetti anche abbastanza rari perché il gioco non reagisce prontamente o con la precisione sperata. Altro problema non da poco è la questione pura e semplice del movimento. Far correre Tilo è fighissimo anche solo per il movimento a quattro zampe riprodotto magnificamente e il suono delle zampette sulle diverse superfici, peccato che le possibilità di usare lo scatto siano più rare della giustizia in Honduras o meglio, la velocità di ricarica è atrocemente lenta a meno che non si stia fermi, cosa che praticamente vanifica la corsa in termini di risparmio di tempo. Capisco che l’idea sia “si corre quando si deve scappare, non è reale che si corra come modalità standard per muoversi nella mappa” e sono pure d’accordo, ma poi non ti puoi azzardare a farmi fare trecentomila chilometri di avanti e indietro perché hai finito i soldi per scrivere e sviluppare delle sidequest interessanti!

20180530224943_1.jpg

Sì, la delusione viene proprio da quella che è la meccanica che davvero odio più di tutte: il backtracking. Quando un gioco mi chiede di andare avanti e indietro per la stessa mappa cinque, sei, sette volte per prendere una cosa e portarla dall’altra parte, io penso automaticamente a: “non sapevate più cosa fare per riempire questo gioco”. Ghost of a Tale abusa letteralmente di questo giochetto vile, cercando di spremere fino all’ultima goccia quello che è il suo più grande punto di forza: la mappa. Si tratta di un unico mondo di gioco articolatissimo, che ha spinto molti recensori a ricordare il primo Dark Souls. Infatti, cosa che mi è piaciuta molto, le cartine delle diverse aree vanno scovate o, alla peggio, acquistate, altrimenti ci si deve muovere usando il proprio senso dell’orientamento e la buona vecchia memoria. Contando che le risorse sono scarse, per certi ambienti si preferirà evitare proprio di avere la mappa, dato che tutto sommato non è impossibile imparare a conoscere a menadito le ambientazioni… anche perché bisogna attraversarle centinaia di volte, mannaggia a voi! Questo non toglie, in ogni caso, una grande nota di merito per la mappa, che è stata davvero pensata in modo splendido. Viene davvero da chiedersi cosa ne sarebbe stato di questo titolo se avesse avuto alle spalle uno studio e uno sviluppo da tripla A. Poteva davvero diventare il più bell’open world con ambientazione fantasy dell’anno. Peccato.

20180527215326_1.jpg

Terzo elemento degno di nota è il sistema di personaggi che circonda Tilo. Belli, davvero ben caratterizzati, spesso sorprendenti nelle loro reazioni. Sì, i dialoghi hanno una qualità decisamente sopra la media, riuscendo a prendere in contropiede anche il giocatore di rpg più smaliziato. Mi è piaciuta anche l’idea delle canzoni e di come possano essere utilizzate durante il gioco. Inoltre ci sono due tocchi di classe a livello narrativo che sapranno stringere anche i cuori più aridi. Discorso contrario, invece, per le quest, che non sempre sono chiare e hanno ancora qualche bug. Siamo lontani dalla versione iniziale del gioco, che è stata un disastro totale, eppure qualche problema c’è ancora. Ho dovuto consultare qualche guida online più di una volta per saltarci fuori in alcuni punti e verso i due terzi del gioco ho abbandonato a se stesse diverse sidequest, sfacciatamente inserite per allungare il brodo: lunghe, monotone e a volte macchinose, senza nemmeno offrire ricompense allettanti.

20180603195608_1.jpg

Il problema è che l’early access a volte fa bene, a volte no. L’impressione è che la prima parte del gioco sia figherrima perché a lungo è stata l’esca per far comprare la versione iniziale del gioco e finanziare così uno sviluppo che si è rivelato certamente molto più faticoso e impegnativo di quanto forse il creatore di Ghost of a Tale non avesse sinceramente immaginato all’inizio. Io non ho nulla contro l’accesso anticipato, che anzi, spesso si è rivelato essere un grande strumento per realizzare giochi ordinati ed efficaci, andare incontro alla volontà dell’utenza e risparmiare a tutti tre o quattro patch post lancio. Tuttavia credo ci sia qualcosa di marcio quando si usa l’early access come una specie di campagna di crowdfunding mascherata. Lo dico fuori dai denti: temo che lo sviluppatore non avesse i soldi per mantenersi realizzando questo gioco, ha fatto annusare a tutti un potenziale enorme – che probabilmente sognava davvero di poter realizzare – ha incassato un po’ di soldini ma molti meno di quanto sperava e quando questi sono finiti ha chiuso il cerchio come ha potuto e ha annunciato la tanto attesa release.

20180603190258_1.jpg

La sensazione alla fine è quella di incompiuto. Poi magari sono io che mi sono fatto troppi castelli e alla fine quel povero sviluppatore di Lionel “Seith” Gallat voleva davvero fare questo, finire il gioco così. Eppure è troppo brusco il passaggio dalla prima metà del titolo – ottima – alla seconda, che è sostanzialmente una fiera triste di backtracking cattivo (ai livelli dei primi due Witcher, per intenderci sulla gravità della cosa) e fetch quest capaci di ammosciare anche il più appassionato giocatore di MMORPG. Non mi azzardo a fare spoiler, ma ci sono anche alcuni passaggi di trama, nelle ultime battute, che non convincono per nulla e sembrano un tentativo di chiudere la storia riutilizzando il materiale che si aveva a disposizione fino a quel momento. Insomma facendo di necessità virtù.

20180527152120_1.jpg

Concludendo, Ghost of a Tale è un’occasione mancata, un’idea da acquolina in bocca che non si è rivelata all’altezza. Le recensioni sono state infatti tiepide e non c’è stato alcun sostegno post lancio al gioco, che praticamente non va mai in sconto e di cui non si parla più. L’ho finito perché comunque non è un gioco atroce, anzi, ma non si eleva oltre la mediocrità. Non mi fossi infatuato del gioco prima che uscisse e non avessi avuto una splendida impressione delle prime ore di gioco, credo che lo avrei abbandonato. Nonostante questo, consiglio almeno di accenderlo, magari tenendo conto fin da subito che quel che conta è solo la missione principale. Credo che così facendo si possa chiudere il tutto in meno di dieci ore, che valgono il prezzo del biglietto anche solo per le ambientazioni e il muso furbetto di Tilo.

20180527221932_1.jpg

Lascia un commento