Tomb Raider – Come in un film

Era da tempo che non mi regalavo un gioco action. Regalavo, sì, perché un action un po’ da console è come quando le ragazze guardano i programmi di Real Time, un videogioco che non richiede di pensare, che ti allunga la mano e ti chiede di seguirlo senza fare domande. Ti promette che andrà tutto bene e non dovrai sprecare preziose energie nel decidere cosa fare o pianificare una strategia. Insomma, è come andare a vedere un film d’azione e questo nuovo inizio per le avventure di Lara Croft  ha mantenuto tutte le promesse ed è stata una splendida avventura.

20180730195555_1.jpg

Ero ancora alle medie quando feci fino alla fine il primo Tomb Raider. Ricordo in particolare un punto all’interno di una piramide. Rimasi bloccato in quel labirinto per circa due settimane. Tornavo da scuola e dopo pranzo mi facevo un’oretta di purgatorio, rigirando all’infinito quel livello maledetto, cercando di spingere o tirare qualsiasi parete, sperando che ci fosse il classico blocco nascosto da spostare. Non ricordo come riuscii a uscirne alla fine. Erano tempi in cui internet era a 56k e non mi veniva neanche in mente che potesse esserci online una soluzione del gioco. Non compravo riviste specializzate, quelle con le guide per intenderci. Francamente da quel momento in poi i miei ricordi del gioco sono abbastanza sbiaditi. C’erano delle specie di arpie, un tempio tipo civiltà precolombiane. Sono andato a riguardarmi il boss finale del gioco ed era atroce.

Ma il ricordo più vivido che ho delle avventure della prima vera sgnacchera digitale è il livello nel Pacifico meridionale di Tomb Raider III, quello in cui si potevano ammazzare dinosauri con l’MP5.

Siate clementi, era il 1998 e avevo dodici anni. Ricordo praticamente ogni singolo di quell’anno (uscivano Teardrop Baby One More Time tra le mille altre) e non sapevo che quell’estate avrei ascoltato per la prima volta i NOFX. In breve sarebbero cambiate un mare di cose e non avrei più rivisto un Tomb Raider fino a questi ultimi mesi, vent’anni dopo.

20180729224157_1.jpg

Lasciando da parte queste robe da anziano che racconta quanto si divertiva con un cerchio e un bastone e mangiava frutta acerba insieme a ragazzini che non sempre hanno raggiunto la maggiore età, raccolgo le idee per raccontare la mia esperienza con Tomb Raider – oramai diventato il nuovo “numero uno” della serie – che, lo dico fin da subito, è stata ottima. Questo è un videogioco comme il faut, pensato per essere un successo trasversale, realizzato perfettamente sia per console sia per pc – dei controlli parlo tra poco – capace di unire storia, grafica, meccaniche, atmosfera e musiche realizzando la cosa più vicina a un film hollywoodiano che si possa trovare nel gaming con mouse e tastiera. Non è un caso che spesso questo titolo venga definito “l’Uncharted per pc”. E se certamente il famoso franchise per Playstation si è ispirato profondamente a Lara Croft per realizzare le avventure di Nathan Drake, l’Indiana Jones delle nuove generazioni, l’archeologa più bella mai apparsa sul globo deve gran parte del successo riscosso con la sua nuova formula all’esempio del best seller di Naughty Dog.

20180731190802_1.jpg

Sì, c’è tutto quello cui siamo abituati, compresi i quick time event e i cliché del genere, ma funziona così alla perfezione che è davvero un piacere da giocare. Tomb Raider si fa tutto d’un fiato ma questo non significa che il gioco sia un’unica corsa di otto-volante, che preme sull’acceleratore perché andare troppo veloci è il solo modo per non far scendere i propri passeggeri. Anche sul ritmo gli sviluppatori sono stati bravissimi, riuscendo a coniugare magistralmente la necessaria linearità di un gioco come questo – che non può che essere “su binari” e dettare tempi precisi per il susseguirsi di determinate azioni, che sono dirette veramente come se ci fosse un regista – a un’inaspettata libertà concessa al giocatore, che può esplorare, fermarsi e tornare indietro quasi fosse un open world.

20180803132845_1.jpg

Ho rimandato troppo a lungo l’indispensabile esposizione per chiunque abbia vissuto sulla Luna o a Busana negli ultimi anni. il primo Tomb Raider della nuova generazione esce nel già lontano 2013 e racconta la prima avventura di una Lara Croft giovanissima, ancora studentessa ma già orfana di un padre che lascia in lei una profonda eredità culturale e che segnerà l’impronta esoterica delle ricerche della nostra eroina. La storia fila esattamente come ce la si aspetta dal primo istante e va benissimo così, perché nessuno chiede a questo titolo qualcosa di rivoluzionario, anzi, si vuole solo una buona vecchia avventura. Via libera perciò a isole tropicali misteriose, esplosioni, tradimenti, pericoli, cose che crollano, fughe rocambolesche, scenari mozzafiato, ragazze giovani che ansimano ricoperte di fango e tutto ciò che può interessare dei guaglioni, indipendentemente che reggano un pad o impugnino un mouse.

20180729235539_1.jpg

Il gioco è naturalmente pensato per console, lo si capisce dall’interfaccia del menu iniziale, da come si gioca, ma qui non siamo di fronte a un semplice porting per pc, perché questa esperienza si vive meglio con mouse e tastiera. Seguendo la strada tracciata da Ubisoft con gli Assassin’s Creed, qui ancora una volta si dimostra che il genere action non è appannaggio esclusivo di Sony e Xbox, anzi, per chi vuole davvero godersi al massimo questo genere la risposta è ancora una volta il nostro amato personal computer. In particolare mi sento di dover sottolineare come il combattimento in terza persona, un elemento molto presente nel gioco, sia fantastico e affrontarlo con un mouse sia senza dubbio la scelta migliore. Lo stesso discorso vale anche per le contenute ma graditissime sezioni puzzle, che strizzano l’occhiolino alle tombe di Assassin’s Creed e spezzano adeguatamente il ritmo del gioco fornendo allo stesso tempo una sfida diversa e l’utile servizio di inserire nuove meccaniche in un contesto di problem solving, come se i programmatori conoscessero la teoria dell’apprendimento attivo di Dewey. Infatti, proprio come nel classico franchise Ubisoft richiamato qualche riga più sopra, anche in questo Tomb Raider non si smette mai di imparare, perché è costante l’inserimento di nuove meccaniche che da un lato, come in un vecchio metroidvania da prima Playstation, permettono di avventurarsi in sezioni della mappa che inizialmente erano precluse e dall’altro tengono viva l’attenzione del giocatore, che non può mai adagiarsi. Un applauso ai game designer.

20180730195413_1.jpg

E poi, contando che si passa la metà del tempo a guardarsi attorno per godersi una grafica pazzesca, si vuole davvero sudare sulle levette analogiche? Le mappe e gli scenari sono sopraffini anche a distanza di tutti questi anni e sono esaltati da un hud nascosto per la maggior parte del tempo e comunque ridotto all’essenziale che lascia liberi di godersi una natura rigogliosa e ostile in cui muoversi è un assoluto piacere. Accennavo prima alla possibilità del giocatore di prendersi il proprio tempo per l’esplorazione. Ecco, tanto per essere chiari, questo è un titolo in cui andare a caccia dei collezionabili è un’attività divertente e credo che questa affermazione sia di suo un complimento mostruoso per un videogame. Ho passato molte più ore del necessario a saltellare e ad arrampicarmi in basi già ripulite perché volevo davvero recuperare qualche tesoro, fregandomene assolutamente delle ricompense, che non sempre sono concrete. Infatti non tutti i collezionabili contribuiscono alla progressione del personaggio o dell’equipaggiamento, che è un’altra interessante novità per il franchise. Non è certo un elemento da gioco di ruolo, ma le abilità da potenziare favoriscono diversi stili di gioco e permettono al giocatore di sentirsi in qualche modo coinvolto. Di fatto poter scegliere se migliorare l’arco o il fucile a pompa consente a ciascuno in qualche modo di esprimere la propria attitudine anche in un contesto in cui si è guidati.

20180801174933_1.jpg

E ce ne fossero di situazioni in cui è così piacevole essere indirizzati verso la meta senza tanta libertà di scelta. Come già detto ci si sente protagonisti di un film per il quale non si è dovuto nemmeno imparare il copione. Le sequenze più squisitamente action sono poi una vera e propria goduria, una lezione di regia che fa sentire al centro dell’azione anche se è evidente che, in realtà, è come quando si guida da bambini in braccio a papà. Il freno e l’acceleratore non li vediamo nemmeno ed è giusto, anzi essenziale per il successo dell’operazione, che sia così. Non si rischia mai di finire fuori strada, di anticipare qualcosa che sarebbe dovuto accadere in seguito, di provocare qualcosa di imprevisto che va a rovinare i piani del gioco. Sono tanti i titoli in cui questo ancora accade e la diffusione degli open world ha reso una costante un “giocare pensato” che ci spinge a pianificare ogni mossa non tanto in un’ottica strategica, ma per evitare colli di bottiglia o punti di non ritorno. Quante volte abbiamo finito di esplorare un’area per paura di non poterci tornare in un secondo momento o temendo che un evento della storia potesse cambiare qualcosa in certi luoghi? Tomb Raider elimina il problema e garantisce sempre la possibilità di giocare come si vuole, senza problemi. Grazie Eidos.

20180729231056_1.jpg

In un titolo action la narrazione deve essere funzionale alle meccaniche, al piacere di giocare e qui c’è piena consapevolezza di questo. Perciò, anche se la storia in finale non è niente di che, la qualità dei dialoghi, delle scene animate e più in generale dei testi e dei suoni è indiscutibile. L’adattamento è a quel livello cui eravamo abituati un tempo e che ormai è privilegio solo delle esclusive console o dei migliori – e non tutti – titoli da 60 euri al lancio, con un bel doppiaggio e senza quelle traduzioni un po’ infelici, che puzzano lontano un miglio di subappalto e lavoro a casa con un word di lines prive di riferimenti. Gli stessi pasticciamenti al basilico che sempre più spesso mi fanno scegliere di giocare con la versione in inglese e non per fare lo snob, ma perché altrimenti certe frasi non hanno senso o alcune quest non si riescono a risolvere data la mancanza o il travisamento di informazioni.

20180731171105_1.jpg

Cercate di prendere questa mia affermazione con la dovuta leggerezza, ma Tomb Raider è un gioco in cui ci sentiamo vicini al nostro avatar e questo legame è in gran parte forgiato nel dolore. Di Lara, mica nostro. Non so quante volte mi sono ritrovato a pensare: “povera Lara!” durante la quindicina di ore che ho trascorso con questo titolo. Dolore fisico e di cuore che serve a rendere la dottoranda in archeologia la donna d’acciaio che ha girato il mondo armata fino ai denti indossando short da denuncia. Proprio in questi giorni è uscito il terzo capitolo della nuova trilogia, Shadow of the Tomb Raider, con grande successo di critica e pubblico – è riuscito perfino a scalzare PUBG al primo posto della classifica di vendite di Steam – che conclude questo ideale romanzo di formazione in tre episodi che aveva il compito di rilanciare Lara nel nuovo mondo del gaming. Missione compiuta, dicono i fortunati che hanno già concluso il viaggio. Da parte mia non posso che confermare come anche solo la prima tappa sia davvero da provare anche se il genere solitamente non attira. Uno dei migliori titoli giocati quest’anno.

20180729223726_1.jpg

 

Lascia un commento